Questo ortaggio appartiene alla famiglie delle cicorie ed è prevalentemente invernale. Se ne conoscono varie qualità, ognuna associata ad un colore diverso e a una differente conformazione.
Da ricordare, tra le più note, il radicchio rosso di Chioggia, il rosso di Verona, il variegato di Castelfranco, il variegato di Chioggia.
In tutti si riconosce la presenza di Ferro, Calcio, Potassio, Fosforo e Magnesio, delle vitamine C ed A, di antociani e carotenoidi.
Il colore rosso e il gusto amarognolo sono indicativi della quantità di ferro in ogni varietà.
La terapia bionutrizionale impiega la pianta in tutte le condizioni in cui ci sia bisogno di reintegrare la quantità di ferro (anemia sideropenica in gravidanza, allattamento, malattie croniche, convalescenze prolungate, situazioni emorragiche di varia natura).
La biodisponibilità del ferro del radicchio è rapida, ma anche complessa poiché legata alla presenza di molti sali minerali, per questo le funzioni epatica e renale devono essere in buone condizioni ed è importante valutare in precedenza la correttezza di parametri quali sideremia e ferritina.
Il radicchio si può mangiare crudo (nelle insalate o come pinzimonio), cotto ai ferri (in questo tipo di cottura la quantità di ferro è maggiore poiché l’ortaggio si disidrata), stufato al tegame (modalità di preparazione più adatta a tutti gli organismi), magari associandolo ad un frutto ricco in vitamina C, come il kiwi o il melograno.
Si può impiegare il radicchio anche nella preparazione di piatti più complessi, come risotti o involtini.
Nel risotto l’unione del radicchio con il riso – carboidrato ideale sia per il fegato che per il rene – consente di assimilare perfettamente il ferro.
Negli involtini, l’incontro tra la carne macinata – con impasto come per polpette – e le foglie del radicchio che la avvolgono, costituisce un piatto unico e completo adatto per esempio a bambini inappetenti o ad anziani edentuli